...Ciascuna delle immagini scelte, infatti, per questa occasione, racchiude e suggerisce un percorso: dalla memoria – quella profonda, transitata dagli sguardi e sedimentata in conoscenza – all’itinerario “automatico” ad occhi aperti, agli scatti dedicati a cose ritrovate, riscoperte o scoperte, per finire alle grandi pagine di provini, gettate in terra e ripercorse come un fragile ma eloquente ponte visivo tra la realtà materiale delle cose viste e la solida, ineluttabile evidenza della stampa. È qui che subentra un “altro” Claudio Grenzi, che guarda e analizza con lucido distacco e, insieme, premurosa e previdente partecipazione ai possibili esiti interpretativi, suoi e dell’osservatore-lettore.
In queste pagine egli rievoca della fotografia, come si è fatto fin dal suo esordio, il ruolo di strumento privilegiato, di taccuino di appunti di ogni viaggio di scoperta e conoscenza, in grado di registrare e restituire le sensazioni e le emergenze di un universo visivo certo, ma anche storico, sociale, psicologico, che ci sta accanto e spesso risulta invisibile e sconosciuto o visibile-non visto e altrettanto sconosciuto...
...Non è un caso che Claudio sia stato affiancato, proprio in questa sorta di ricognizione-tributo verso la città nella quale vivono, dal figlio Paolo. Si tratta, certamente, di una testimonianza di premurosa attenzione e di fiducia, ma anche di umiltà. Lavorare, in un caso (e in un campo) come questo, con un giovane, significa sempre trasmettere e comunicare, ma anche scoprire, avere uno sguardo in più, diverso ed altro. Vedere altro e diversamente. Anche se sarà difficile decifrare cosa e in quale misura. Soprattutto quando si sceglie di prestare attenzione al dettaglio, al particolare. Che significa partire da qui, da quelli, per cercare di cogliere e restituire il senso di un luogo, della gente che lo vive, della storia e delle storie che attraversano l’una e l’altro. Partendo, non a caso, come qui accade, e meno sorprendentemente di quanto possa apparire, dal cimitero, dal luogo della memoria per antonomasia; certo individuale, privata, ma, alla lunga, soprattutto collettiva. E può accadere, perciò, come in questo caso, che pochi particolari dicano cose rilevanti della storia culturale, artistica e sociale della città, dei suoi ceti, della loro propensione costante a celebrare e celebrarsi, volgendo gli occhi al passato. Il che è abbastanza normale che avvenga nei luoghi della “sosta”, della “stasi”, del ricordo e del tempo fermo; mentre qui sembra essere una cifra espressiva costante e comune ad altri luoghi, oggetti e simboli. Ma forse è più corretto dire che la lettura che Claudio (e Paolo) Grenzi propongono (o comunque mostrano di voler segnalare) è quella che collega passato e presente sul filo della qualità. E non è forse un caso che ciò avvenga attraverso i dettagli (di ieri e di oggi), per esempio di parole, lettere, insegne, che alludono ad attività commerciali o servizi o istituzioni e che hanno in comune una funzione di comunicazione e “segnaletica” in senso stretto; per divenire, più in generale, simbolica, enfatica e retorica, nel caso di aquile imperiali (!) e stemmi o rappresentativa e riconosciuta come identitaria, attraverso i decorosi ma frammentari “particolari” tratti dai monumenti più significativi e decorosi, appunto, della città. È questo, insomma, che queste immagini adombrano: una parcellizzata, “artigianale”, individuale capacità di esprimere qua e là gusto, finezza, senso del bello e orgoglio dell’appartenenza, che, tuttavia, non si fanno senso comune, cultura diffusa, opera collettiva, immagine urbana riconoscibile e decorosa.
Guido Pensato
Dettagli
Formato: cm 16x19
Pagine: 108
Illustrazioni: 102 a colori
ISBN: 978-88-8431-209-9
Anno di pubblicazione: 2006