Posto extra moenia il Santuario della Madonna delle Grazie costituisce uno dei luoghi principali della devozione a Maria nella Ruvo moderna: a presidio di quella che fu l’antichissima direttrice della “transumanza”, passaggio obbligato per greggi e genti, raduna ancora oggi il popolo ruvestino che, nell’icona della Mater Gratiae e del Dio che si fa bambino, ormai sbiadita dal tempo ma per nulla sminuita nella sua forza attrattiva, trova il proprio segno identitario, il luogo di incontro fisico e metastorico con la fede dei padri, la storia civile e religiosa, le peculiari tradizioni.
Della Madonna delle Grazie il presente studio intende contribuire alla migliore conoscenza sotto il duplice aspetto del culto e dell’arte, ma anche cercare di approfondire le motivazione che furono alla base del suo radicamento nel tessuto sociale.
Messe da parte limitanti valutazioni estetiche e artistiche riguardanti l’icona, si è collocato lo sviluppo del culto mariano nello spirito dei tempi, cogliendo tutti quei nessi e intrecci, non solo religiosi, ma anche ‘politici’ e sociali, che sono alla base dell’emergere di nuove istanze devozionali. A cominciare dalla trasformazione ed evoluzione di un culto assai diffuso, che dalla dimensione sentimentale e tutta imperniata sull’umanità di Gesù e la sua intima unione con la Vergine Madre (la Virgo lactans), approdò su terreni più sottilmente teologici e mariologici.
Il vescovo Cristoforo Memmoli (1621-1646) risulta essere figura chiave di tutta la vicenda. Proveniente dalle fila dei Teatini, interpretò la sua azione pastorale con autentico spirito di riforma e aderenza ai precetti tridentini. Egli attuò l’assorbimento e ‘istituzionalizzazione’ del culto soprattutto attraverso la ‘pietrificazione’ della devozione, cioè la costruzione a metà Seicento della nuova e più ampia chiesa, al posto della parvula cappella satis vetusta, con la facciata rivolta ad occidente, in direzione della città, perché la Vergine potesse non solo ‘vederla’ ma anche ‘guardarla’ cioè, in senso letterale, porsi a sua ‘guardia’, ‘difenderla’, ‘custodirla’.
Per la costruzione del tempio si è proposta la firma di Carlo Rosa (Giovinazzo 1613 – Bitonto 1678), famoso soprattutto come instancabile pittore, dalla solida formazione a Napoli nell’accorsato atelier dello Stanzione ma che, come il cavalier Massimo, fu anche architetto. Vi sono, nonostante il silenzio dei documenti, tutte le carte in regola per riconoscere in Rosa il vero artifex cui ricondurre, in periodi distinti, la paternità dell’edificio e l’ideazione del fastoso altare barocco dipinto.
Con una ulteriore interessante novità: al centro della prospettiva illusionistica il pittore bitontino inserì l’originale lettura del celeberrimo capolavoro barocco di Peter Paul Rubens, veduto e ammirato nella romana Santa Maria della Vallicella (la “Chiesa Nuova” degli Oratoriani) tradotto, in toni un po’ vernacolari, nel volo di angeli adiposi e “scapicirrati” a sollevare in gloria - ma sarebbe meglio dire a condurre in terra, a dimorare nelle feraci campagne ruvestine - l’antica e miracolosa immagine della Madonna delle Grazie.
Dettagli
Formato: cm 24x31
Pagine: 80
Illustrazioni: 74 a colori
ISBN: 978-88-8431-603-5
Anno di pubblicazione: 2015